Non ricordo con precisione, ma ho l’impressione che siano passati un paio di secoli da quando ho rilevato una serie di vini così convincente da parte della Vecchia Cantina di Montepulciano, azienda cooperativa di lunga storia (anche se con un po’ meno di un paio di secoli sulle spalle): nitidezza olfattiva, equilibrio, slancio e freschezza sono i dati salienti e comuni a tutti i vini assaggiati. Un cambio di passo notevole che spero di vedere ripercorso dalle prossime uscite sul mercato.
Le note di degustazione sono consultabili qui, in area abbonati.
In questo periodo sono piuttosto impegnato ad assaggiare le nuove annate* e ho avuto modo di notare il modo diverso da parte di ogni azienda di interpretare il rapporto tra i vini più semplici e quelli più ambiziosi.
Lasciando perdere le situazioni virtuose (in verità largamente prevalenti) e ponendo l’attenzione su quelle più criticabili – se non critico che ci sto a fare – potrei dire sommariamente che esistono alcune situazioni contrapposte che tenterò di illustrare proponendo tre diversi profili di produttore.
Il primo è figlio dell’attualità, attento alle mode e ai cambiamenti, frequentatore assiduo dei social, fino a pochi anni fa produceva solo due o tre etichette ma ha cominciato ad ampliare la sua gamma puntando sulla Riserva della Riserva, poi sulla Selezione, quindi sulla Super Selezione per approdare infine sull’ultima frontiera dell’espansione produttiva ovvero l’individuazione di tre – per ora, ma sono destinati ad aumentare – cru dalle caratteristiche uniche e irripetibili (almeno così dice). A fare le spese di questa generosa proliferazione di vini è proprio il più semplice, quasi dimenticato, che deve accontentarsi degli avanzi di vigna e si presenta in una veste talmente leggera da rasentare l’inconsistenza; insomma, non sa di niente e il tentativo di rivendicarne la bevibilità è maldestro ed è sufficiente una buona birra, altrettanto bevibile, meno alcolica e più saporita, a metterlo in crisi su questo piano.
Il secondo profilo è invece rappresentato da chi segue la logica fuorviante e tuttora fortemente radicata di ritenere che l’importanza di ogni vino è proporzionale all’esibizione della propria ricchezza strutturale. L’identikit è di chi al ristorante apprezza soprattutto la quantità e la confonde con la qualità, vuole i piatti stracolmi e il suo vino più ambizioso è in effetti assai potente e intenso ma anche surmaturo, alcolico, sovraestratto e roverizzato all’eccesso; un po’ come se per vestirsi bene ci mettessimo addosso tre camicie e due paia di pantaloni: nessuna eleganza e tanta goffaggine. Il paradosso è che in questo caso il vino di base, prodotto senza le forzature di cui sopra, è sorprendentemente piacevole ed equilibrato.
Ma lui non lo sa; nel senso che non se ne è proprio reso conto.
Il terzo caso è infine costituito da chi prepara il vino di base con le stesse modalità di vinificazione di quello di vertice utilizzando però uve di qualità inferiore. Il risultato è prevedibilmente costituito da impiastri imbevibili. Il profilo è del tipo fedele alla linea ed è quel genere di produttore che non cambia mai metodi e il vino lo fa sempre così in barba alla diversità delle annate, delle tipologie e (magari) delle mode: “io i miei vini li tratto tutti allo stesso modo, non faccio discriminazioni perché così faceva mio nonno, così faccio io e così farà mio figlio”.
Al quale toccherà poi berselo tutto.
La Guida Hachette è la madre delle Guide-Vini europee, la prima pubblicazione che ha giudicato, catalogato e classificato con ritmo annuale i vini francesi; si può quindi ben dire che ha fatto la storia e, pur con le difficoltà del mercato attuale, continua a farla. Una delle segnalazioni di merito più copiata, il famoso Coup de Coeur, è un marchio storico dell’Hachette e non segnala automaticamente il vino migliore ma quello che ha toccato le corde dell’emozione o che almeno ha sorpreso e stupito gli assaggiatori. Può capitare che sia un vino semi-sconosciuto e quindi una sorpresa totale, oppure un vino famoso che è andato ben oltre il suo pur elevato standard abituale.
Per non lasciare all’asciutto (colpa gravissima) chi mi legge, ho deciso pertanto di segnalare alcuni Coup de Coeur risaltati nei primi giri di assaggio effettuati. Tralascio per ora le griffes più note e pur meritevoli di tale riconoscimento – Paleo e Sassicaia 2019 non scappano.. – e dedico queste righe a una serie di vini che non sempre sono finiti in prima pagina ma che stavolta hanno provocato un giusto “batticuore”.
Il primo gruppo è monopolizzato da vini di Montepulciano e inizio con il Nobile Riserva 2018 de Le Bertille per continuare con il Rosso di Montepulciano 2020 di Manvi e finire con il Chianti Colli Senesi 2019 di Villa S. Anna: tre annate diverse e tre vini che hanno in comune la freschezza, l’eleganza delle forme e la facilità di beva. Tre caratteristiche che fino a pochi anni fa era piuttosto difficile rintracciare a Montepulciano ma che gradualmente stanno diffondendosi sempre di più.
Chiudo questa prima tranche con un vino che ormai non dovrebbe più stupirmi ma che ogni anno immancabilmente ci riesce ed è una versione scintillante e fremente (la 2021) del Rosato di Rocca di Montegrossi.
Da berne a secchi, direbbe Giampaolo Gravina.
In questo periodo le giornate riservate agli assaggi sono sempre più frequenti a scapito del ritmo di inserimento di nuove recensioni, ma a breve succederà l’opposto. Per il momento posso dire di aver completato gli assaggi del Rosso di Montepulciano e ho stilato un’iniziale graduatoria che alterna, come sempre capita, conferme e sorprese. Nell’insieme debbo ammettere di aver ricevuto una buona impressione e non è poco considerando che fino a non molto tempo fa la tipologia minore del Nobile non brillava per incisività e carattere ovvero offriva pochi motivi per parlarne estesamente. Buona parte delle aziende oggi si sono saggiamente orientate sulla realizzazione di vini di media struttura, bevibili e bilanciati, una scelta che può apparire sin troppo ovvia ma che nel passato anche recente non trovava la compattezza interpretativa attuale, visto che spesso e volentieri i vini che venivano proposti erano o eccessivamente scarni o eccessivamente robusti.
Ma torniamo al podio indicato nel titolo rivelandone immediatamente la composizione.
Al terzo posto, una piacevole sorpresa: il Rosso 2019 di Carpineto.
Al secondo, una piena conferma, dato che è sempre tra i migliori: il Prugnolo 2020 di Boscarelli.
In prima posizione, una mezza sorpresa, considerando che è sempre stato buono ma stavolta lo è molto di più: il Fossolupaio 2019 di Bindella.
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L’immagine riproduce la copertina della versione inglese del mio libro I Grandi Vini di Toscana, uscito il 23 novembre 2016 nelle principali librerie italiane.
Il libro ripercorre, attraverso la descrizione di 69 vini selezionati e particolarmente rappresentativi, un periodo cruciale dell’evoluzione del vino toscano. Su ogni vino sono riportate le informazioni tecniche relative ai metodi di produzione, le note storiche, gli aneddoti, completando il tutto con una degustazione verticale di ogni vino scelto.
Dall’introduzione:
Da tempo meditavo di dare forma e sostanza alla raccolta di oltre venti anni di appunti, di visite, incontri, suggestioni e, soprattutto, degustazioni. Centinaia e centinaia di bottiglie aperte e provate, ma anche assaggi dalla botte, lo stesso vino degustato appena nato e poi testato più volte nel corso degli anni. Insomma. alla fine mi sono accorto di poter raccontare storie all’infinito. E avrei desiderato farlo con un editore toscano, perché un libro sui vini toscani prodotto “in casa” avrebbe avuto un significato tutto particolare. È fortunatamente capitata l’occasione di proporre l’idea a Giunti che ha manifestato immediatamente grande interesse e molta disponibilità per l’argomento. Ne abbiamo parlato, poi abbiamo rimandato l’inizio del progetto, perché un editore di cose da fare ne ha tante, e anch’io avevo le mie. Il progetto originale si è piano piano delineato con maggiore chiarezza a entrambi e alla fine abbiamo, come si dice, messo nero su bianco e l’avventura di questa pubblicazione è partita.
E qui devo premettere che un libro come questo non è un libro qualsiasi, dove si raccolgono le idee, si dà loro un ordine e si inizia a scrivere. Avrei anche potuto fare così, in fondo ho molti assaggi archiviati nel corso degli anni, bastava metterli insieme e il gioco era fatto. In realtà, avendo a che fare con una materia “viva” come il vino poteva essere sicuramente interessante proporre le impressioni che mi aveva fatto quella determinata etichetta dieci anni fa, ma sarebbe stata soltanto una somma di annate diverse, non una verticale vera e propria. Dopo tante degustazioni “orizzontali” (più vini della stessa tipologia e annata) che mostrano solo una faccia della luna, l’assaggio “verticale” permette di esplorare il carattere e il valore di un vino sotto una prospettiva del tutto diversa dal solito. E ne restituisce un’immagine più completa e profonda che va oltre il semplice piacere di una bottiglia…
Come ho scelto i vini? Chiaramente gran parte della selezione effettuata riflette semplicemente il mio gusto, è ovvio che molti dei vini presenti siano tra i miei preferiti sulla base degli assaggi effettuati in tanti anni di attività.
Nella scelta ho tenuto conto non solo delle mie preferenze personali, ma anche della rappresentatività delle varie zone e tipologie, e della presenza di originalità degne di nota. Ho completato l’elenco con vini che, anche se non proprio in cima ai miei desideri, hanno fatto parlare di sé in questi ultimi anni, raggiungendo un’alta reputazione sul piano nazionale e internazionale e che ho ritenuto interessante comprenderli in un’indagine qualitativa che poteva riservare (e riservarmi) qualche sorpresa.
Non ricordo quando ho assaggiato il mio primo vino, ma ricordo bene da quando questa passione si è trasformata in lavoro; e posso dire che ormai sono più di venti anni che, prima come collaboratore, poi come diretto responsabile, ho frequentato varie pubblicazioni specializzate del settore. Quanti vini sconosciuti e oggi apprezzati da tutti ho segnalato in questi anni? Ho perso il conto, ma confesso che ancora oggi continuo ad assaggiare con la stessa passione e voglia di ricerca di allora. Ed è questo che voglio fare, non faccio il filosofo, mi limito semplicemente a dire quanto e perché un vino mi piace. Ma lo faccio rivendicando un’autonomia e un’indipendenza di giudizio che oggi mi sembra merce assai rara. Per questo motivo credo ci sia lo spazio per proporre un sito imperniato seriamente e quasi esclusivamente sulle note di assaggio. Ernesto Gentili Per contattarmi: info@ernestogentili.it
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Dopo le prime collaborazioni con Slow Food Editore per le pubblicazioni Guida al Vino Quotidiano e Guida ai Vini del Mondo, ha iniziato nel 1994 a occuparsi della Guida Vini d’Italia di Gambero Rosso-Slow Food, assumendo dopo pochi anni il ruolo di responsabile della Toscana; e successivamente anche di curatore per due edizioni dell’Almanacco del Berebene. Dal marzo 2003 è passato al ruolo di curatore, insieme a Fabio Rizzari, della Guida I Vini d’Italia del gruppo editoriale L’Espresso, seguendo tutte le edizioni successivamente realizzate, dalla 2004 fino alla più recente 2016. È stato membro permanente del Grand Jury Européen, ha al suo attivo anche varie collaborazioni con testate straniere, come la Revue du Vin de France, Decanter e la giapponese Wine Kingdom, oltre che con altre pubblicazioni specializzate italiane. Nel novembre 2016 è uscito in libreria il suo libro I Grandi Vini di Toscana (The Great Wines of Tuscany nell’edizione inglese), edito da Giunti.
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PREMI E RICONOSCIMENTI – Premio Casato Cinelli Colombini 2001 per Miglior articolo su Montalcino (per Slow Food Editore). – Premio Grandi Cru d’Italia 2008 come “miglior giornalista del vino”. – Segnalato dalla rivista inglese Decanter (gennaio 2010) tra i 10 personaggi più influenti del vino italiano. – Premio Lamole 2012: cittadinanza onoraria di Lamole. – Premio Casato Cinelli Colombini 2013 per Miglior articolo su Montalcino (per L’espresso Editore).
Dopo aver maturato un adeguato bagaglio di esperienza lavorando per ristoranti e alberghi in Italia e Svizzera, Claudio Corrieri decide, nel 1994, di aprire Lo Scoglietto sul lungomare di Rosignano Solvay (LI).
Diplomato Sommelier nel 1996, coltiva la passione per il vino cercando di approfondire la sua voglia di conoscenza, attraverso letture, viaggi, frequentazione di corsi di aggiornamento e, soprattutto, stappando tante bottiglie.
Gestisce, nel frattempo, un altro locale, InVernice, che diventa nel giro di pochi anni il punto di riferimento per gli appassionati di vino dell’area livornese.
Nel 2010 inizia a collaborare con la prima edizione di Slowine e dall’anno successivo entra a far parte del team della Guida Vini dell’Espresso, curata da Ernesto Gentili e Fabio Rizzari, fino al cambio di direzione, avvenuto un paio di anni fa.
Nello stesso periodo inizia il suo rapporto con il web, scrivendo articoli su vini del Rodano e della Borgogna per il sito diretto dall’amico Fernando Pardini (www.acquabuona.it) e continuando, nell’attualità, a mantenere una stretta collaborazione con Ernesto Gentili su queste pagine.
Da pochi anni si occupa, insieme all’amico (nonché valente degustatore) Daniele Bartolozzi, di importazione diretta di Champagne attraverso un’accurata selezione di piccoli produttori (www.lebollicine.eu).