Château Haut-Bages Libéral, qualcosa si muove a Bordeaux

Quando faccio il punto su ogni nuova annata bordolese non posso fare a meno di avere l’impressione, certamente superficiale, di osservare una situazione pressoché cristallizzata dove, alla resa dei conti, i vini migliori sono sempre i soliti.
In realtà, in una sorta di Panta Rei, tutto sembra fermo e tutto si muove. I movimenti, in alto e in basso, spesso sono appena percettibili: “quest’anno ho trovato un pizzico di tannino in eccesso in Ch. Margaux” oppure “Cos d’Estournel è un tocco più profondo della precedente annata” e così via: punteggiature, una virgola qui, una virgola là, ma in sostanza i valori sono sempre quelli. Ma, soprattutto nei millesimi più recenti, le variazioni e gli spostamenti, prevalentemente in alto, sono più consistenti e, per chi è costantemente assetato di novità, anche stimolanti e incoraggianti.
Ecco allora che, a sostegno di questa suggestione debbo sottolineare l’ascesa sensibile e costante del Grand Vin di Haut-Bages Libéral, un Pauillac cinquième cru classé che confina direttamente con Château Latour, dal quale è diviso solo dalla Route de la Rivière, una piccola strada che scende fino al palus che affianca la Gironda. Un’altra parte dei vigneti sono poco distanti e adiacenti a quelli di Pichon Baron che, a sua volta intendiamoci, non è proprio l’ultimo arrivato. Il terzo appezzamento è situato invece sull’altopiano di Bages a fianco di – scusate se è poco – Château Grand-Puy-Lacoste.
La storia dello Château è molto interessante e, purtroppo, anche tragica in alcuni aspetti, ma per il momento mi limito ad accennare che Libéral è il nome della famiglia che lo ha posseduto sin dal 1700 e che Bages è un toponimo situato nel comune di Pauillac che ritroviamo collegato anche ad altre Tenute (Lynch-Bages, Croizet-Bages e altre ancora). Al momento attuale fa parte, come Château Ferrière (altro vino in forte ascesa) e di Château La Gurgue a Margaux, delle proprietà di Claire Villars che, in sintonia con il consorte Gonzague Lurton (proprietario di Durfort Vivens, altro Château in netto crescendo), segue  con determinazione i dettami della pratica biodinamica.

Come accennato, Haut-Bages Libéral da una parte confina direttamente con Château Latour e non è un dettaglio evidentemente: stesso microclima, stessa distanza dalle rive della Gironda, composizione dei suoli – almeno sul lato confinante – molto simile se non identica, per cui è difficile abbandonare il dubbio che abbia ben altro potenziale da sviluppare. Il concetto, evidentemente non cambia per la parte in contatto con i vigneti di Pichon Baron e Grand-Puy-Lacoste. In effetti le vicende storiche ed economiche delle varie proprietà che si sono succedute nel tempo hanno spesso un peso non secondario sull’affermazione e sulla popolarità dei vini di Bordeaux e anche Haut-Bages, che è pur sempre un cru classé, nel passato ha vissuto qualche periodo problematico che gli ha impedito di avere un maggiore successo e forse solo oggi, nei tempi attuali, sta ricevendo le cure e le attenzioni adeguate.
L’azienda è, appunto, in regime biodinamico da alcuni anni ma debbo sinceramente notare che non ho elementi specifici e tanto meno scientifici per assegnare i meriti della svolta positiva a tale scelta. Tuttavia non posso fare a meno di considerare che spesso cambiamenti di questo tipo generano un atteggiamento assai più convinto e partecipativo da parte del produttore o di chi eventualmente lo rappresenta.

In questo caso si respira un entusiasmo che diventa coinvolgente per chi si avvicina a Haut-Bages e del quale sembra risentirne positivamente anche la vitalità e lo stato di salute del vigneto stesso! Dall’esterno le immagini prevalenti che riguardano Bordeaux inquadrano Château dalle strutture sontuose e luccicanti; al contrario Claire Villars preferisce camminare in mezzo ai filari delle vigne e, se non fosse per il vento fresco che arriva dalla Gironda, ti sembrerebbe davvero di essere a contatto con un vigneron borgognone o langarolo.

In effetti, anche basandomi sulle mie occasionali esplorazioni dove ho sempre trovato un vino più potente che fine, a Haut-Bages non ha mai fatto difetto una naturale energia, attinta evidentemente da un ambiente naturale particolarmente favorevole; non è stato tuttavia altrettanto facile riuscire sino ad ora a incanalarla in forme più raffinate per far assumere al vino una personalità più definita ed elegante.
La piccola verticale (2018, 2019 e 2020), che Claire Villars mi ha gentilmente proposto e concesso, ha invece delineato con una certa chiarezza il percorso intrapreso e il profilo del vino assume per me oggi un’identità assai più precisa. Un vino intenso ma anche agile e carezzevole, “sospeso” sul palato e non aggrappato alla bocca, dinamico e non statico. Certamente non siamo ancora al punto di arrivo, il tracciato intrapreso troverà nel tempo una maggior compiutezza ma l’assaggio è stato piuttosto illuminante e chiarificatore.
Le tre annate provate nell’occasione (quattro se aggiungiamo la 2022) hanno una valenza qualitativa – punto più punto meno – molto simile ma le loro caratteristiche sono decisamente diverse, dopo che nel passato H. B. L. sembrava inseguire modelli stilistici convenzionali dove la concentrazione era il motivo trainante che omologava l’uno con l’altro i vini di un’intera regione. Alla fine emerge la sensazione di un vino che “vive” ogni annata per intero, senza contaminazioni o camuffamenti. Un vino più aperto, disinibito, privo di complessi ma non di complessità, se vogliamo usare un gioco di parole. Un vino più autentico, in sostanza.
Merito della biodinamica? Può darsi, è probabile, ma non ho elementi certi per affermarlo.
Merito dell’attenzione, della sensibilità, dell’entusiasmo delle persone che lo creano? In questo caso penso proprio di si. Gli ingredienti imprescindibili in fondo sono sempre quelli: vitigni e persone giuste nel posto giusto, una “ricetta” che in sintesi si traduce con terroir.

Le note di degustazione sono disponibili quiper gli abbonati.

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